di Carlo Balestriere – Teresa è una donna che ha passato la sua l’intera esistenza a crescere i suoi figli, partoriti uno dietro l’altro.
Dopo trent’anni, quando anche l’ultimo aveva finalmente lasciato la casa, la donna si sentì rinascere.
Era come se si fosse liberata di un obbligo che qualcuno le aveva imposto nel momento in cui nacque donna, in un Paese la cui cultura limita l’indipendenza del sesso femminile e cerca di relegarlo esclusivamente all’allevamento dei figli.

Dopo la fine del “mandato” di madre, Teresa (che ormai si avviava verso la cinquantina) decise di riprendere in mano tutti i progetti di vita che aveva interrotto all’età di vent’anni, quando scoprì di essere incinta.

Riprese gli studi, si aprì un’attività e in pochi anni scoprì di essere anche molto brava in quello che faceva, perché il successo sopraggiunse dopo poco tempo.
Trascorreva ogni notte maledicendo la vecchia Teresa, che aveva sprecato trent’anni della sua vita prima di fare questo passo.
Ma alla fine si girava dall’altra parte del letto, addormentandosi con un sorriso, perché compiaciuta di essere cambiata: meglio tardi che mai.

 

Ma la felicità di Teresa durò poco.  In una delle visite di routine le fu diagnosticato un cancro e, dopo pochi mesi di agonia, morì.

 

 

1. La lezione che ci insegnano i caduti

La storia di Teresa è uno degli esempi più drammatici di come il cancro si abbatte sulle vite di tutti noi.

Mi piace ascoltare queste storie.
Ovviamente non lo faccio per un gusto macabro, ma per interesse scientifico.
Ciò che mi piace ascoltare sono le considerazioni e i bilanci che i malati oncologici fanno della propria vita nelle settimane prima di andarsene per sempre.
Credo che sia una forma di grandissimo rispetto soffermarsi ogni tanto ad ascoltare storie del genere, come se fossero dei “memento mori”.

In media un uomo italiano ogni 3 e una donna italiana ogni 6 muoiono a causa di un tumore.

I caduti, in questo senso, ci servono per ricordarci che anche noi dobbiamo morire e che non dobbiamo commettere l’errore che tutti rimpiangono.
Sto parlando dell’errore di sprecare il proprio tempo.

 

 

2. Smettiamola di sprecare il nostro tempo, prima che il cancro si presenti

Noi non sprechiamo tempo decidendo di rilassarci al cinema con un film leggero, dormire un po’ di più il pomeriggio, oppure investire migliaia di ore in un hobby.  No.
Quando parlo di “spreco di tempo” ho in mente tutte quelle scelte che facciamo (o che non facciamo) nel corso della nostra vita, le quali scelte non ci permettono di realizzare la migliore versione di noi stessi.
Uccidiamo sul nascere ciò che in potenza saremmo riusciti a diventare con solo un po’ di sforzo e grinta in più.

Poi, quando la vita bussa alla porta per dirci che il nostro tempo è esaurito, ci meravigliamo e proviamo un senso di ingiustizia.

 

 

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3. E’ possibile ottenere più tempo?  sì, con la Psicologia

La Psicologia, in questo senso, può aiutare il malato a ridurre lo stress, migliorare la comunicazione tra familiari e medici, ridurre gli effetti collaterali delle chemioterapie e migliorare la qualità della vita dei pazienti.

Ci sono anche diverse evidenze scientifiche secondo cui la psicoterapia rafforzi il sistema immunitario del paziente, portandolo a vivere più a lungo.
Se sei un malato oncologico e sei in procinto di sottoporti ad una chemio (che sostanzialmente è un terno al lotto che decide se a morire sarai tu o le cellule cancerose), aumentare la forza del tuo sistema immunitario può fare la differenza tra la vita e la morte.

 

 

4. Come usare la Psicologia per fronteggiare il cancro

Stando a ciò che gli avevano detto i medici, Kip Little, una donna canadese, sarebbe dovuta morire trent’anni fa.
Quando le fu diagnosticato un cancro al seno nel 1986, rimase scioccata.
“Trascorrevo diverse ore dopo pranzo a fare attività fisica, mangiavo cibi salutari e mi mantenevo sempre in forma.  Sono sempre stata una persona in salute.  Come è potuto capitare proprio a me?”

 

Kip Little (with cancer) leans on back of Dr. Alastair Cunningham at Garden at Princess Margaret Hos : News Photo

Kip Little (a sinistra) insieme al suo dottore, Alastair Cunningham

 

Dopo l’intervento di asportazione del seno, Kip fece la conoscenza di uno psicologo dell’Istituto di Oncologia di Ontario (Canada).
Lavorando con lui e con altri pazienti, la sua vita si trasformò.
Tutti insieme si incontravano ogni settimana per discutere dei loro sentimenti, per imparare la meditazione e altre tecniche di rilassamento, oltre ad apprendere strategie per fronteggiare la depressione, il dolore e la paura.

Kip non morì affatto.
Evidentemente, l’impegno di cambiare a livello psicologico (più le migliori cure mediche di questo secolo) fu così grande che qualcosa nel suo organismo cambiò, dandole una speranza di vita incredibilmente più lunga.

 

 

5. Vivere più a lungo

Per comprendere gli effetti della Psicologia sul cancro e come mai esistessero individui come Kip, Alastair Cunningham organizzò uno studio coinvolgendo 22 pazienti con varie forme di cancro ritenuti incurabili.
Dopo aver chiesto a degli esperti di stimare quanto tempo restasse ad ognuno dei 22 pazienti condannati a morte, si mise all’opera con il suo team di ricercatori.

Cunningham raccolse scrupolosamente i dati sugli atteggiamenti e sui comportamenti di ciascun partecipante.
Alcuni di questi seguivano le terapie tradizionali (check-up medici, chemioterapie, diete specifiche), mentre un altro gruppo – in aggiunta a ciò – riceveva un supporto psicologico dato a Kip.

 

I risultati?  Cunningham scoprì che i pazienti come Kip Little, i quali si impegnavano molto nel migliorare se stessi a livello psicologico dopo la diagnosi, vivevano almeno tre volte più a lungo di quanto era stato predetto dai medici.
Con 2 eccezioni, quelli che ricevevano solo le cure tradizionali e basta morivano proprio allo scadere del tempo fissato dagli esperti.

 

 

Conclusione

“È del tutto sensato il fatto che le persone che vivono più a lungo sono proprio quelle che fanno cambiamenti psicologici sostanziali dopo la diagnosi”, concluse Cunningham alla fine dei suoi studi.
“Ovviamente, il problema è che sono in pochi a farlo.”

Io, che da anni divulgo i benefici della Psicologia, non posso che concordare con lui.
In Italia abbiamo due ordini di problemi: il primo è di natura culturale, il secondo di natura economica.

Il problema culturale è che la Medicina tradizionale stenta ancora ad aprirsi totalmente agli studi sul cervello, al rapporto tra mente e organismo, sistema immunitario, ecc.
Insomma, aprirsi alla Psicologia.

Il problema economico è che, qualora avessi la fortuna di trovare un medico illuminato, ti scontri con il fatto che la Politica non è dello stesso avviso.
Per questo scarseggiano finanziamenti pubblici, chiudono reparti uno dopo l’altro e le persone sono costrette a rivolgersi agli psicologi privati.

 

Prese due persone identiche – a parità di cancro – la seconda ha la possibilità di vivere più a lungo, per il semplice fatto che è più ricca e può permettersi una psicoterapia privata.
Questo è del tutto inaccettabile in un Paese avanzato come il nostro, e per questo vi invito a condividere questo articolo, affinché possa generarsi più consapevolezza su questo tema.

Dopotutto, non c’è niente che ci tocchi più da vicino.
Il cancro colpisce una persona su tre.
Potrei essere io, potresti essere tu o una persona a te cara.

 

Un saluto e al prossimo articolo di Psicologia Applicata.

 

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Lettura consigliata: “Resisto dunque sono. Chi sono i campioni della resistenza psicologica e come fanno a convivere felicemente con lo stress” di Pietro Trabucchi.

Puoi leggere un estratto del libro a questo indirizzo (Nuova Edizione).

Resisto dunque sono di Pietro Trabucchi