di Carlo Balestriere, direttore di Psicologia Applicata

Oggi mi sono ritrovato la bacheca invasa da post che iniziano con “A cosa serve uno psicologo?”, che è sostanzialmente un lamento nei confronti di chi dice di essere un po’ psicologo.

Voglio scrivere 4 righe sul perché questa iniziativa, la quale sembra una sorta di campagna promozionale spontanea, può fare più male che bene (senza giudicare male chi l’ha già condivisa in un impeto di rabbia, perché in fondo ci sta che siano incazzati).

 

 

1. Non ha senso arrabbiarsi perché il cittadino si crede un po’ psicologo

Sentirsi autoefficaci riguardo un certo compito (fare la dichiarazione dei redditi, far applicare una normativa, gestire l’ansia o autodiagnosticarsi una malattia) non ci rende automaticamente commercialisti, giuristi, psicologi e medici.

I professionisti sono tali perché riescono a svolgere questi compiti in maniera sistematica, metodica, precisa e priva di errori, cosa che i semplici cittadini non possono fare.

La Psicologia appartiene a tutti, così come la Medicina, la Giurisprudenza e le Scienze tutte, perché la condivisione di conoscenza è libera secondo la nostra Costituzione.
Il discorso cambia se si parla di atti tipici di una professione regolamentata.
Posso studiarmi tutti i libri di Anatomia che voglio, ma non potrò mai aprire il torace a un uomo senza abilitarmi, perché quello è un atto tipico di un medico.

 

Forse gli psicologi si arrabbiano così tanto perché sono i primi a non conoscere quali sono i loro atti tipici?
Okay, sediamoci a un tavolo e definiamoli!

 

 

2. A nessuno importa quanto tu abbia sofferto per ottenere un titolo

Che senso ha dire che si è psicologi, che si ha studiato 11 anni e che si ha pagato 20.000 Euro per una Specializzazione, e perciò si pretende rispetto e riconoscimento sociale dagli altri?

Scusate, ma voi pagate le cose in base a quanto le percepite utili o per altro?
Quando pagate un dentista, lo fate per farvi risolvere un problema o perché egli dichiara di essere stato 15 anni sui libri?

 

A me non frega un cavolo che il mio dentista abbia passato 15 anni sui libri, magari anche fuoricorso.
Io lo pago per ottenere un beneficio, un problema dentale risolto.
Se per risolvermelo egli ha dovuto studiare 15 anni, è un problema suo e non deve riguardarmi.
Da qualche parte ci sarà qualcuno più bravo che avrà raggiunto lo stesso livello in meno anni.

 

Cosa pensereste del vostro medico, se vi proponesse una parcella di 500 Euro, dicendo:
“Eh, caro mio, io ho studiato 11 anni, quindi mi devi pagare tanto.”
Io, personalmente, lo manderei a quel paese.

 

Quanto male potrebbero pensare di voi i clienti, se leggessero le righe che condividete?
Penserebbero che vi facciate pagare troppo non tanto perché offrite un servizio eccellente (cosa di cui io sono convinto), ma perché volete rifarvi su di loro per delle vostre scelte di vita.
Non sono un esperto di clinica, ma credo che questo influenzi un pochettino la relazione terapeutica.

 

 

3. Come si valorizza, allora, la professione di Psicologo?

Il riconoscimento della figura dello Psicologo non si otterrà prendendocela con i cittadini con la terza media che, poverini, hanno delle competenze cognitive così limitate da credere che basti un libro, un cartomante o un coach per risolvere problemi mentali.

 

Il riconoscimento della figura dello Psicologo si otterrà prendendocela con tutti quelli ai vertici dell’Ordine che promuovono il lavoro gratuito, i protocolli idioti aggratis e i tirocini perenni con la promessa di essere assunti.
Ecco, se volete bombardare qualcuno di messaggi, bombardate loro.

 

 

Ci vediamo al prossimo articolo della rubrica “Professione Psicologo” su Psicologia Applicata.